Come anticipato nei giorni scorsi, la Commissione Ue ha aperto tre nuovi casi antidumping contro l’acciaio cinese e ha ordinato un nuovo dazio su un altro prodotto. I manufatti in acciaio finiti sotto la lente d’ingrandimento delle indagini di Bruxelles sono i tubi non saldati, lamiere pesanti e laminati a caldo, mentre dazi antidumping provvisori sono stati introdotti oggi per i laminati a freddo sia cinesi (di 13,8%-16%) che russi (di 19,8%-26,2%). Quest’ultimo dazio fa seguito a quello stabilito il 29 gennaio per i tondi in acciaio per cemento armato. “La Commissione Ue sta agendo e applicando gli strumenti a sua disposizione per assicurare un terreno di gioco equo” con la Cina al settore siderurgico europeo, ha dichiarato la commissaria al commercio Cecilia Malmstroem, tutelando di essere “determinata a usare tutti i mezzi possibili per assicurare che i nostri partner commerciali rispettino le regole”. Ad ora sono 37 i dazi antidumping in vigore per i prodotti in acciaio, mentre 9 indagini sono in corso.
Diversi ministri europei dell’Economia hanno lanciato un allarme contro un rischio importante e imminente di collasso del settore europeo acciaio a fronte del «dumping» da parte della Cina. Pechino metterebbe in vendita all’estero l’acciaio a prezzi inferiori a quelli praticati sul mercato interno. Drogando il mercato. E così, in una lettera comune indirizzata alla Commissione europea e al consiglio, i ministri tedesco Sigmar Gabriel, francese Emmanuel Macron, italiano Federica Guidi, polacco Mateusz Morawiecki, britannico Sajid Javid, belga Kris Peeters e lussemburghese Etienne Schneider hanno chiamato l’Ue ad «utilizzare tutti i mezzi disponibili» e «agire con forza per rispondere a questa nuova sfida».
Il 15 febbraio due charter sono partiti dall’aeroporto Orio al Serio di Bergamo per Bruxelles con a bordo la delegazione guidata dal presidente di Federacciai Gozzi per chiedere tutele rispetto alla Cina. Sono partiti imprenditori e operai che hanno poi partecipato alla marcia su Bruxelles, iniziativa promossa a livello europeo per chiedere alle istituzioni comunitarie maggiori tutele nell’ambito del dibattito per il riconoscimento dello status di mercato alla Cina. Muniti di elmetto e in tuta da lavoro, gli operai delle principali aziende siderurgiche italiane, guidati dal presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, si sono presentati al check in alle 7 di mattina e sono saliti su un charter allestito per l’occasione dell’associazione. In piazza del Cinquantenario, la delegazione italiana si è unita ai cortei degli altri paesi europei tra le quali Francia, Inghilterra, Germania, Olanda, Belgio, Polonia.
La grande assente, il Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, rimasta a Roma per un impegno dell’ultimo momento. Ha mandato un direttore generale, ma la Commissione le ha fatto sapere che l’incontro è politico e che dunque non potrà parlare. Lo faranno tutte le altre delegazioni, spiegando dubbi e rabbia e chiedendo misure di tutela per l’industria asiatica, che produce troppo e lo vende a poco. L’Italia non lo ha fatto. Come se non fosse il secondo produttore europeo e come se non avesse firmato la lettera del patto di Acciaio con i cinque partner. E per di più, come se non avesse il caso Ilva da gestire a Bruxelles. In effetti, se mai ce ne doveva essere uno, quello sarebbe stato il giorno perfetto per far sentire la propria voce all’Europa. Purtroppo, nulla di tutto ciò è accaduto.